Pietro Benedetti, martire della Resistenza fucilato a 42 anni dai fascisti, era solito dire che ci sono due modi di sentire la vita:
come attori, che sentono i doveri prima che i diritti, o come spettatori.
Il suo era un richiamo alla responsabilità civile del cittadino di fronte alle grandi questioni:
allora la liberazione dai nazi-fascisti, oggi la liberazione del Paese dalle catene della crisi, del crescente degrado sociale ed economico, dall'evasione fiscale e dagli evasori, dalla corruzione e dai corruttori, dalla cattiva politica dei politicanti, dal miraggio dei predicatori dell'antipolitica, dall'indifferenza individualista e dal qualunquismo degli ignavi per i quali "Tanto comunque sono tutti uguali".
La nuova liberazione, a 67 anni dalla vittoria sul totalitarismo nazi-fascista, è quella che punta ad un nuovo ordine morale e civico, una etica pubblica che non va solo pretesa ma rivendicata e imposta attraverso anche quella forma di massima espressione della libertà che è la partecipazione.
Il nuovo totalitarismo è quello della finanza e del capitalismo predatorio e indifferente a ogni questione sociale, è il totalitarismo dei furbetti dell'evasione e della casta rappresentata da una politica fatta di nuovi farisei, occupanti di quel tempio della convivenza civile che è la democrazia, che parassitano la società non solo e non tanto con i loro stipendi d'oro e i loro privilegi, ma soprattutto imponendo quelle pratiche di corruzione morale, prima che economica, che portano ad esempio all'occupazione militarizzata di ogni pezzo di potere: società partecipate, società miste, multiutilities, enti di ogni livello e ogni grado. E da chi cerca di imporre, in nome di una dubbia competitività, la svalutazione del lavoro, del reddito che produce e dei diritti.
Contro questa nuova dittatura il nuovo 25 aprile non si può nutrire del qualunquismo, dell'indifferenza e della rabbia che sfocia nell'antipolitica: un fenomeno simile lo abbiamo già vissuto proprio da queste parti e l'antiStato ha portato alla nascita di un movimento, la Lega Nord, che è stata di facciata partito di barricata e allo stesso tempo di regime, lottizzatore e spartitorio.
Il nuovo 25 aprile si anima di partecipazione, di consapevolezza delle regole fondamentali della democrazia; del protagonismo dei cittadini e dei lavoratori. Di giustizia sociale costruita innanzitutto sull'uguaglianza contro le discriminazioni economiche causate anche dai fenomeni dell'evasione e della corruzione, della criminalità organizzata che fa affari in tempo di recessione, di sfruttamento del bisogno di lavoro attraverso condizioni di occupazione sempre più peggiorative.
In questa fase di crisi profonda della democrazia rappresentativa, il rischio è quello di buttare via il bambino, cioè la democrazia stessa, con l'acqua sporca, ovvero la cattiva politica.
Festeggiare il 25 aprile significa questo: riscoprire il senso dell'impegno civico, fatto di piccole cose e piccoli gesti anche tutti i giorni, guidati però da una grande rivendicazione, quella di un paese di regole scritte per essere rispettate e non aggirate, di una politica al servizio della società e non di una società suddita della politica, di partiti che tornino ad essere comunità di pensiero e di impegno civile e non una aristocrazia di più garantiti. E' tempo anche di nuovi sacrifici: non quelli imposti dal governo tecnico e che si abbattono sempre sui soliti noti, ma del sacrificio dei doveri, tra cui quello di non cedere alle lusinghe di chi gioca al tanto peggio tanto meglio e di essere consapevoli che la democrazia e il buon governo dipendono anche da noi.