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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 18/04/2012

Gentile direttore,
credo che ci sia stato un po' di banalizzazione o un difetto di comprensione, anche nella mia stessa organizzazione, nel valutare le mie parole su evasione e possibili metodologie per farla emergere e risanare, con un nuovo patto fiscale, questa ferita purulenta al corpo della cosa pubblica.
E nella discussione che ne è nata, se posso permettermi, ho rivisto tanto del repertorio che da sempre caratterizza i dibattiti sull'evasione fiscale in questo Paese.
Se ne parla molto e intanto ogni anno il "nero" vale numeri a doppie cifre del Pil teorico.

L'evasione in Italia è endemica per tre ragioni: la prima ha molto a che fare con questioni culturali, dalla mancanza di senso delle regole e delle istituzioni all'atavica propensione italica alla furberia; la seconda ha a che fare con un sistema dei controlli poco stringente, che ha favorito la massificazione del fenomeno per cui oggi i tentativi di stringere le maglie delle verifiche sembrano tanto la chiusura delle stalla dopo che i buoi sono scappati.
La terza, indubbiamente, riguarda la pressione fiscale, che soprattutto sul livello del piccolo "nero" diffuso, quello di cui sono protagonisti anche i cittadini che chiedono la moralizzazione della politica ma poi non si fanno fare fatture e scontrini per risparmiare, ha una incidenza significativa.

Lo sappiamo tutti che l'evasione fiscale, oltre ad essere un pessimo vizio civico, sottrae risorse fondamentali per il bilancio dello Stato e falsa la concorrenza tra le imprese. Che poi in tempo di crisi sia diventata anche uno strumento di competitività è un dato pazzesco che andrebbe preso e affrontato dal Governo non solo pensando di riempire le patrie galere. Anche perché, complici i comportamenti al limite dell'attentato all'economia reale di molti istituti di credito, lo stato dei conti è tale per cui in molti casi, quando e se arriva giustamente il controllo da cui scaturiscono irregolarità, sanzione e pagamento del dovuto possono determinare la chiusura dell'azienda e, evidentemente, la perdita di molti posti di lavoro. Questo non vuol dire che non si possono controllare gli evasori perché c'è il sostanziale ricatto dei licenziamenti, ma neppure che si debbano usare le bombe a grappolo quando il colpo può essere sparato con un missile intelligente che riduce al minimo i danni collaterali e massimizza l'effetto che si vuole ottenere.

Ho proposto, nei fatti, una sorta di ravvedimento operoso, un passo verso un nuovo patto fiscale e di cittadinanza per cui da un lato chi non è in regola emerge spontaneamente, accetta anche le verifiche sapendo di dover pagare quanto non versato e il minimo delle sanzioni, dall'altro lo Stato, che da quel momento tira una linea oltre alla quale non ci sarà più tolleranza, si mette di buzzo buono ad affrontare, oltre che la partita dei controlli, anche quella delle necessaria riduzione delle tasse sul lavoro e sull'impresa.
E che finalmente si metta a pensare anche allo sviluppo e non solo al ritocco verso l'alto della pressione fiscale.

Si possono immaginare limiti, parametri, franchigie, tutto il necessario per evitare che di questo armistizio fiscale possano beneficiare i grandi evasori.
Ma ritengo che sia un passo da valutare e che si tratti di una cosa molto diversa dai condoni: il ravvedimento operoso, come l'ho considerato io, fa emergere il sommerso e fa recuperare grandi risorse allo Stato con un patto civico che prevede che da domani non si può più sgarrare. In più guarda alla tenuta e alla crescita del sistema produttivo territoriale, recuperandolo alla legalità. I condoni sono invece una sorta di indulto tributario che, guarda caso, spuntano sempre in prossimità delle elezioni e, come nel caso dello scudo fiscale al 5%, fa rientrare nelle casse pubbliche porzioni residuali di quanto evaso.

Mi è stato detto che questa strada non è praticabile e che l'unico modo di fare è inasprire i controlli.
O che il cuore della vicenda è in realtà il nodo delle aliquote troppo alte. Se ne discuterà a lungo, come sempre avviene in Italia. Nel frattempo, del 18% di Pil che vale il "nero" andremo a recuperare solo quello che viene fuori dai controlli, che non possono essere a tappeto, spesso esibiti anche per cementare il consenso verso questo governo pasdaran dell'austerity, fatta sempre pagare a quelli che hanno sulle loro spalle gran parte del peso del risanamento, cioè le famiglie dei lavoratori dipendenti e quelle dei pensionati.
Tutti quelli che, senza il contrasto di interessi, non scaricano l'Iva delle fatture, delle bollette, dei tributi o delle tariffe come quelle sui rifiuti.