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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 31/03/2012

Gentile direttore,
c'è una incompatibilità democratica tra gli evasori fiscali e le comunità in cui essi operano e alla quale sottraggono risorse e legalità
.
E l'incompatibilità si allarga a tutti coloro che, per spirito di corpo, di categoria o di classe, tendono se non a giustificare quantomeno a trovare "mille e una" ridicole e offensive - per il buon senso - giustificazioni.
Nel caso delle ultime due aziende finite nella rete dei controlli non parliamo di piccole irregolarità amministrative o di qualche migliaio di euro di nero creati, ma di oltre 100 milioni, tra ricavi nascosti al fisco ed evasione dell'Iva.

Di fronte alle dimensioni di questo caso, parlare di "Stato vorace" significa non solo portare la bandiera di un capitalismo vorace e autoritario, ma anche mettersi dalla parte di un vero pensiero eversivo.
Ha ragione il presidente di Unindustria Vardanega, di cui comprendo l'imbarazzo, nel dire che non si deve generalizzare, perché la colpa di qualcuno non può diventare una pena collettiva.
Resta il fatto che queste non sono che le punte di un iceberg da cui si comprende benissimo come si arrivi ai livelli di evasione che il nostro Paese registra ogni anno, risorse sottratte al bene comune che violano nella sostanza le regole dell'uguaglianza fiscale e che privano la società di strumenti fondamentali attraverso cui promuovere lo sviluppo, strutturare il welfare, dare fiato ai bilanci asfittici degli enti locali su cui il governo Berlusconi prima e quello Monti poi hanno appoggiato tutta la pressione del risanamento del bilancio dello Stato.

Non solo: l'evasione fiscale rappresenta anche una zavorra per la competitività complessiva perché crea situazioni di concorrenza sleale interna e così turba il normale e naturale corso del mercato, finendo per punire le aziende sane, quelle che non potendo e soprattutto non volendo contare sulle riserve illegali finiscono per essere travolte dagli sporcaccioni del fisco, che grazie al nero possono ottenere posizioni di rendita a cui non necessariamente corrisponde una qualità del prodotto, del processo o dell'occupazione.
Di fronte a questi fenomeni monta l'irritazione verso chi continua a pensare che il recupero della competitività del sistema Paese passi invece per la svalutazione della merce lavoro, che poi altro non è che la svalutazione umiliante della dignità dei lavoratori. La religione neoliberista per cui meno diritti e meno garanzie sostanziali, anche di fronte a fattispecie particolarmente delicate come quelle che fanno riferimento all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, si dimostri orpello ideologico che nulla ha a che fare con i veri problemi del sistemi produttivo ma che semmai usa le attuali difficoltà per smontare, un pezzo alla volta, l'apparato di politiche e garanzie sociali avanzate che l'Italia ha saputo darsi negli anni.

E' questo pensiero del "lasciar fare e lasciar passare" che costituisce anche fondamento concettuale all'evasione fiscale, cioè la pulsione di una parte della classe imprenditoriale a poter disporre a proprio piacimento di qualsiasi risorsa le venga a tiro, che si tratti di fatturato, di occupazione o agevolazioni fiscali.
Per chiedere sacrifici pesanti agli altri bisogna avere la coscienza a posto e saper dare l'esempio, magari evitando quelle cadute di stile che hanno caratterizzato le parole dell'ex presidente di Confindustria Marcegaglia che, gonfiandosi il petto di moralismo da quattro soldi, a proposito della difesa del diritto all'occupazione che l'articolo 18 rappresenta, parlava di garanzie ai fannulloni e ai ladri.
Categoria, quella dei ladri, che invece meriterebbe valutazioni di tutt'altro segno.