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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 07/11/2011

Gentile direttore,
chiedo ospitalità nel suo quotidiano per un lanciare un appello, certamente anche uno stimolo e una provocazione, al vice sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini.
E lo faccio sull'ostico terreno dell'immigrazione, tema su cui, rispetto a Gentilini, mi trovo ad essere stato spesso su posizioni non solo molto diverse ma più radicalmente opposte, sia come segretario generale della Cgil provinciale di Treviso che come cittadino italiano.

Posizioni diametrali rispetto ai concetti di accoglienza, alla legislazione che dovrebbe regolare la materia dell'immigrazione, all'idea stessa del fenomeno migratorio.
In questi giorni ha preso avvio la campagna "L'italia sono anch'io" che si propone di riportare all'attenzione dell'opinione pubblica e del dibattito politico il tema dei diritti di cittadinanza: ad esempio la possibilità per chiunque nasca o viva in Italia di partecipare alle scelte della comunità di cui fa parte.

La campagna prevede la raccolta di firme per due leggi di iniziativa popolare, una di riforma dell'attuale normativa sulla cittadinanza, portando da 10 a a 5 gli anni di residenza legale necessari per richiedere la stessa (oltre alla iscrizione in anagrafe come cittadini italiani di tutti i nuovi nati da genitori stranieri dei quali almeno uno sia residente legalmente in Italia da almeno un anno, la cittadinanza italiana per i minori entrati in Italia entro il 10° anno di età o nati da genitori stranieri privi di titolo di soggiorno che entro due anni dal compimento del 18° anno di età richiedano la cittadinanza, prevedendo anche la frequenza scolastica); l'altra sul diritto di voto alle elezioni amministrative, portando ugualmente a 5 gli anni di residenza legale per poter esercitare il diritto.

Peraltro va ricordato che molti degli stranieri che vivono in Italia sono bambini e ragazzi nati o cresciuti qui e che tuttavia solo al compimento del diciottesimo anno di età si vedono riconosciuta la possibilità di ottenere la cittadinanza, mentre in molti altri Paesi, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, ad esempio, vale lo ius loci, cioè la cittadinanza può essere acquisita da chi è nato in un determinato Paese.

Mi rivolgo non a caso al vice sindaco di Treviso in occasione della raccolta delle firme necessarie. Giancarlo Gentilini ha sempre sostenuto la "priorità" da dare alla legge e al consequenziale rispetto dell'ordine pubblico. Ha giustificato questi capisaldi "ideologici" come presupposto di civiltà.
Bene: cosa c'è di più civile nell'utilizzare la legge, una buona legge, come strumento di integrazione concreta?
Le persone di cui parliamo sono cittadini nati all'estero che da anni però vivono, lavorano e pagano le tasse in Italia.
Cittadini che partecipano alla vita delle comunità ma che non possono votare e partecipare alle scelte amministrative; che risiedono stabilmente in un Paese di cui rispettano le leggi, condividono i valori dello "stare insieme" civile e la lingua, in cui pagano con i loro contributi le pensioni ma che restano chiusi, qualora lo desiderassero, dall'assumersi la responsabilità della cittadinanza, dei diritti e dei doveri.

E i cui figli, che sono italiani come qualsiasi altro bambino nato da noi, sono considerati minori di serie B proprio perché non viene loro illogicamente riconosciuto lo status di italiani. Per difendersi dalle accuse di razzismo, francamente non sempre campate per aria, il vice sindaco di Treviso Gentilini ha detto di essere non contro gli immigrati in quanto tali, ma contro chi viola la legge e di essere per una immigrazione ordinata.

Quindi riempire, come diceva Di Vittorio, la carriola dei diritti con i doveri, ovvero giocare apertamente la carta dei diritti e delle responsabilità individuali e sociali che la cittadinanza comporta, è certamente la maniera migliore per favorire quell'integrazione che, oltre la dimensione della passeggera tolleranza per il lavoratore ospite, plasma secondo regole giuste una società necessariamente multi etnica e destinata ad essere multiculturale, dato che il fenomeno migratorio è stato (e potrebbe continuare ad essere) così vasto da portare, ad esempio, la provincia di Treviso ad avere oltre il 11,5% della popolazione composta da individui di origine straniera ma oramai radicati nel territorio.

Di conseguenza la coerenza vorrebbe che chi tiene posizioni "legalitarie" ( e non usa l'argomento della legge e dell'ordine solo per vestire dignitosamente idee che sono xenofobia e razzismo) dovrebbe guardare a queste due proposte di legge di iniziativa popolare con favore proprio perché stanno dalla parte della certezza del diritto e della solidarietà sociale non ispirata a criteri di buonismo", ma a buon senso.

Per questo chiedo al vice sindaco di Treviso, che in occasione del dibattito sul luogo di preghiera dei mussulmani nell'ultimo Ramadan ha mostrato di essere capace di uno scatto di ragionevolezza e razionalità ben oltre le posizioni della Lega Nord, se non crede che proprio in difesa del diritto come via maestra al buon governo di una società anche etnicamente complessa, il Comune di Treviso dovrebbe, come le altre istituzioni locali, adoperarsi per la raccolta delle firme. Per fare uscire la questione degli stranieri trapiantati e integrati in Italia dalla zona grigia del populismo becero, della gioco al massacro per convenienza elettorale, della legge ingiusta e non uguale per tutti. Per aderire convintamente al principio di civiltà per cui a tassazione deve corrispondere anche rappresentanza.

Perché la cittadinanza sostanziale sia il principio di riferimento, al di là del luogo di nascita, della lingua madre, della religione professata, del colore della pelle.
Tutte cose che hanno fatto grandi paesi come gli Stati Uniti e il Regno unito, dove la multiculturalità non è mai stata un problema ma uno degli ingredienti che hanno plasmato una grande Nazione.

Paolino Barbiero, segretario generale Cgil provinciale Treviso