Gentile direttore,
molto poco di quello che è uscito dal G8 trevigiano sull'agricoltura è qualche cosa di cui non si sapesse già.
Ci sono richiami e cosiddetti accordi contro le speculazioni dei prezzi, ce ne sono altri, vaghi e contrastanti, contro il protezionismo ma che prevedono sostanzialmente i dazi e ci sono progetti ambiziosi ma difficili da realizzare, come la banca delle derrate alimentari.
Si tratta, comunque, di segnali positivi: il "mondo con la pancia piena" non finge più di non accorgersi sfacciatamente di quello che succede ai tre quarti della popolazione planetaria, che, complici i regimi totalitari, sono fortemente esposti allo sfruttamento e alla fame.
Non c'è, però, traccia del tema sulla distribuzione delle risorse e della ricchezza, che invece è stato in qualche modo discusso al G20 sulla crisi, o sul tema della vita di quei contadini che lavorano la terra per un pezzo di pagnotta, sulle masse espropriate della ricchezza "terra" in favore delle grandi multinazionali, che piantano ananas al posto del grano, o su quelli che rischiano di farsi travolgere dal nuovo grande imbroglio del latifondo internazionale, le biomasse, che si mangeranno i campi coltivabili a derrate alimentari.
Oltretutto si potrebbe parlare di appuntamento inutile, se solo il termometro dell'importanza del G8 di Cison fosse l'attenzione data dagli organi di informazione: pochissimo sui telegiornali nazionali, quasi niente sulla stampa nazionale e poco, e neppure troppo lusinghiero, lo spazio accordato dai media internazionali.
C'è stata poi la copertura mediatica locale sul colore, sui (ciccati) appuntamenti di gala, le visite guidate a fattorie e castelli. Come se il summit, che doveva discutere anche di come riempire la pancia a chi la ha vuota, avesse dovuto essere più che altro una delizia di assaggi di doc e dop. Abbiamo perduto un'occasione. Non noi trevigiani, che possiamo delegare ad altri e più frivoli appuntamenti il compito di fare da ambasciatori delle bollicine e delle delicatezze della nostra tavola.
Ma noi italiani. Abbiamo perso l'occasione di non aver posto noi, con forza, il tema che avrebbe potuto, e forse dovuto, fare da punto di riferimento di tutta la discussione. Passi la difesa del vino, della pasta e dei formaggi dalle contraffazioni, passi il tema della concorrenza all'insegna di un mercato che piace quando i costi li pagano i lavoratori, mentre per le aziende c'è sempre il paracadute dei dazi. Passi pure il solito brodino sugli ogm, tema che da una parte e dall'altra si affronta in modo ideologico e poco pratico: o fanno benissimo, o fanno malissimo. Dimenticando che l'uomo modifica l'ambiente da migliaia di anni e che la ragione non sta agli estremi, ma nel buon senso di responsabilità con cui affrontare la fame e le carestie.
Ma che ne è della giustizia alimentare, che per ora non sembra essere di questo mondo? Si è infatti tenuto sotto traccia che l'agricoltura non è solo una questione di produzione e di vendita, ma anche di sopravvivenza. E di democrazia e di diritti. Si è taciuto dei contadini africani espropriati delle terre da compiacenti regimi a beneficio dei trivellatori americani ed europei, dei tibetani che faticano sui campi cinesi o dei bambini indiani che raccolgono le foglie di tè ad una manciata di centesimi al mese. Microtragedie della macroeconomia, la cui risoluzione fa, trattandosi di esseri umani, la differenza del doppio. Per arrivare poi alla farsa dei dazi: non se ne parla esplicitamente, ma ci sono eccome. Dazi sulle cosiddette distorsioni del mercato, causate dalle differenze di prezzo. Questa idea di concepire l'economia, mercatista quando conviene ma anche sussidiata e protetta, è in realtà un imbroglio per i poveri.
Non è infatti detto che i prezzi più bassi siano frutto del solo sfruttamento sociale ed economico: semplicemente in un paese in via di sviluppo, prezzi e remunerazioni sono naturalmente più bassi che nel primo mondo. Non si capisce perché questo differenziale dovrebbe essere un vantaggio quando si delocalizza una industria e invece una distorsione quando si parla di agricoltura. Per coerenza il ministro Zaia dovrebbe rimangiarsi tutto le "belle" cose dette da presidente della Provincia di Treviso e restituire i soldi (pubblici) delle carovane organizzate da Via Cesare Battisti verso la Romania, quando riempiendosi la bocca di parole come "internazionalizzazione" si andava in giro per l'est Europa a far assaggiare ai nostri imprenditori le delizie del costo del lavoro tendente a zero.
Fatto questo, chi è d'accordo con questi "dazi" dovrebbe pure dirci a chi, e a quali prezzi, gli africani, gli indiani, i vietnamiti, i thailnadesi, i birmani e i filippini dovrebbero vendere, senza disturbare i nostri produttori di cereali, frutta e verdura che, in stagione, vendono al dettaglio al prezzo dell'oro. Se lotta alla speculazione deve essere, come si dice nel documento conclusivo del G8, che lotta sia. Senza quartiere.
Al Ministro Zaia adesso il compito di affrontare il primo casalingo test: la zucchina a 4 euro al chilo o l'insalata da taglio che, in piena raccolta, vola a 6 o 7 euro per un chilo. Sembra roba da poco, ma sarebbe un bell'inizio e un bell'esempio.
Paolino Barbiero, Segretario generale Cgil provinciale Treviso