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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 20/07/2009

Gentile direttore,
trovo che "sorprendente" sia l'aggettivo più azzeccato per giudicare la recente uscita del presidente degli industriali veneti, ed ex leader di Unindustria Treviso, sulla questione dei dazi.
Il presidente Tomat propone infatti la possibilità di strutturare i dazi come strumento anti crisi e lo fa proprio nel momento in cui gli incontri internazionali si svolgono invece lungo il solco di un messaggio preciso, quello appunto secondo cui il protezionismo non è la ricetta per uscire dalla crisi globale, così come non lo è la globalizzazione estrema. Sarebbe comunque interessante chiedere al presidente Tomat quale sia la sua idea di dazi, in che cosa consti la selettività di cui parla, quel rubinetto di permessi al commercio che il presidente degli industriali veneti profila come possibilità di politica economica. Insomma: per di dovrebbero valere i dazi? A chi li si dovrebbe applicare?

E fra le aziende e i marchi da "respingere" vi sono anche i tanti italiani che vanno a produrre nei paesi come la Cina e che poi rivendono sui mercati occidentali, e quindi anche su quello italiano, un prodotto fittiziamente made in Italy?

Trovo che sia evidente che quello dei dazi è l'ennesimo tentativo di trovare una scorciatoia per la risoluzione di quel grande problema che è la competizione globale in tempo di recessione, in cui due fattori fondamentali sono il liberismo estremo (lassez faire, lassez passaire) e l'azione di quelle economie emergenti che hanno nel basso costo del lavoro il cuneo che permette di inserirsi nei mercati, non sempre peraltro con prodotti di infimo livello.

Il basso costo del lavoro, quando è determinato anche da bassi livelli di garanzie dei lavoratori, è certamente un elemento distorsivo del mercato. E' concorrenza sleale tanto quanto il lavoro nero, è spregevole per i suoi contenuti di sfruttamento. Ed è tutto questo indipendentemente dal prezzo finale del prodotto: quindi, la concorrenza sleale causata dallo sfruttamento di condizioni del mercato del lavoro al limite, si ha sia per quanto riguarda la maglietta venduta a 10 euro al mercato che sulla scarpa da 70 euro, dato che la forbice tra costi di produzione e costo al pubblico garantisce, a chi ha delocalizzato, margini economici tali da collocare queste aziende su posizioni di vantaggio nel mercato inarrivabili a quelle realtà che, operando in paesi socialmente avanzati, hanno costi legati al lavoro e alle tutele enormemente maggiori.

Visto che la questione dazi esce, in maniera così autorevole, un'altra volta, mi permetto di tornare ad osservare, come già fatto in passato, che il problema non è quello dei dazi ma quelle di imporre alla comunità dei paesi che agiscono nel mercato mondiale del commercio e della produzione regole uniformi e un apparato sanzionatorio che sia in grado di intervenire per correggere le distorsioni. Gli industriali italiani, insomma, più che invocare dazi, potrebbero (ma è il loro interesse?) chiedere che, per esempio, anche la Cina e gli altri paesi terra di delocalizzazione, rispettino alcune condizioni minime di diritto e decenza nel trattamento dei loro lavoratori.

Vi è poi l'altra faccia della medaglia. Esiste naturalmente una propensione all'acquisto di beni e servizi al più basso prezzo possibile; ma l'esplosione delle produzioni low cost, quelle su cui immagino Tomat pensi di poter mettere dei dazi, sono legate anche all'impoverimento dei consumatori nei mercati occidentali. La lotta al basso costo, spesso condizione anche di competizione sleale nei confronti delle nostre aziende, si fà quindi mettendo al centro delle politiche anche la qualità reddituale degli individui e delle famiglie.

Esattamente l'opposto di quello che invece si è ricercato negli ultimi anni, in cui si è scaricata la competizione del basso costo sui lavoratori, ad esempio inflazionando la normativa di contratti e condizioni atipiche e precarie. Infine, va segnalato come l'approdo industriale ai dazi sia un pessimo segnale. Indica come si sia già evidentemente raschiato il barile delle altre soluzioni e profila l'incapacità di questo sistema della produzione di ricostruirsi e riorganizzarsi non solo per uscire dalla crisi con il minimo danno, ma anche di attrezzarsi per cogliere quelle che saranno le opportunità dei mercati del futuro.

Per usare parole "antiche", su potrebbe dire che la richiesta di dazi, seppure selettiva, è un sintomo di quel declino che la Cgil denunciò più di sei anni fa e che ora si manifesta in tutta la sua terribile evidenza rendendo più acuti gli effetti del ciclo economico negativo.

Paolino Barbiero, Segretario generale Cgil provinciale Treviso