Gentile direttore,
la proclamazione dello sciopero generale da parte della sola Cgil contro le politiche economiche del governo, e in particolare contro la manovra correttiva, è una scelta che marca la gravità del momento per il nostro Paese, che attraverso una fase caratterizzata dagli errori nel governare la crisi economica e sociale a causa di scelte che sono penalizzanti non solo delle prospettive di ripresa ma che soprattutto colpiscono le fasce sociali più deboli.
L'obiettivo dello sciopero non è quello di riempire le piazze, per quanto la buona riuscita delle manifestazioni pubbliche segnerà in parte il successo o meno della giornata, ma piuttosto svuotare i luoghi di lavoro.
Cioè non vogliamo mandare in archivio il 25 giugno come una giornata di mobilitazione d'opposizione, ma dare alla giornata il tratto tipico della battaglia sindacale: lo sciopero come strumento di contrattazione e difesa degli interessi e dei diritti di tutti i lavoratori di legittima pressione.
Cosa fa il governo per rispondere all'emergenza? Costruisce una manovra solo contabile senza misurarsi minimamente sulla sfida dello sviluppo; asseconda la perversione di un sistema in cui la finanza prima è causa della crisi, poi si fa risanare i propri debiti dai bilanci pubblici, quindi detta le condizioni per non attaccare in maniera speculativa gli Stati, costringendo a operazioni di macelleria sociale.
Le ragioni della stabilità dei bilanci e del contenimento del debito pubblico sono sacrosante; ma il conto del risanamento non può essere pagato solo dai soliti noti, i lavoratori, i pensionati, le famiglie a basso reddito. Tutti quelli, cioè, che subiranno le più negative conseguenze sulla loro qualità della vita a causa delle politiche che si vogliono attuare: tagli agli enti locali, quindi tagli ai servizi, soprattutto a quelli sociali, in particolare mettendo a rischio il sistema sociosanitario e quindi violando un diritto fondamentale e costituzionalmente garantito come la salute; e attraverso la violazione dei diritti fondamentali del lavoro, minacciati dal collegato lavoro e dai progetti revisionisti di destrutturazione dello Statuto dei Lavoratori.
In questi giorni si parla molto della questione dei tagli agli enti pubblici e della protesta, l'ennesima, dei sindaci. Questa protesta, che attraversa da una parte all'altra lo scenario politico e che si caratterizza anche per l'imbarazzo che vivono i primi cittadini della Lega e del Popolo della Libertà non è abbastanza.
Occorre invece una mobilitazione di gente, di popolo si sarebbe detto una volta, che "convinca" il governo a tornare a trattare sulla sostanza della nostra politica economica: come si difendono meglio i diritti dei più deboli, quale sia il modello da cui vogliamo ripartire, come si affronta e si esce dalla crisi, cosa fare per il mercato del lavoro, come aiutare veramente la ripartenza delle imprese.
Ufficio Stampa