Gentile direttore,
La bozza Calderoli è aria fritta.
Non solo perché sulle questioni di merito, ovvero sui numeri, alza una cortina fumogena che rende tutto talmente vago da trasformare il favore o l'opposizione al progetto come una mera scelta di campo.
Ma soprattutto perché nei fatti non risolve due nodi: il primo è quello temporale, dato che difficilmente potrà avere effetti nel corso di questa legislatura. Il secondo invece riguarda il patto elettorale stretto dalla Pdl con gli elettori, da nord a sud. E la necessità di mantenere equilibri rende evidente che qualsiasi aspettativa di grande riforma che trovi la quadratura per affrontare e risolvere la questione settentrionale verrà inesorabilmente delusa.
Anche per queste ragioni la Cgil di Treviso sostiene la battaglia dei cosiddetti sindaci del 20%. E' un sostegno responsabile e meditato, che non nasce oggi ma che è stato pubblicamente dichiarato fin dall'avvio dell'iniziativa e che si fonda sulla convinzione che è giusto che le risorse prodotte localmente siano la prima fonte di finanziamento delle politiche territoriali. Ovviamente con un patto di solidarietà scritto a caratteri indelebili e fortemente condivisi.
E con un occhio ad alcuni situazioni, in particolare agli effetti diversi generati da un meccanismo che, introducendo la trattenuta del 20% dell'Irpef nelle casse delle amministrazioni comunali, produce, rispetto al vecchio metodo dei trasferimenti, situazioni diametralmente opposte: da un lato alcuni Comuni pochi che ci rimettono, dall'altro Comuni che invece ci guadagnano, e di molto. L'equilibrio, come nel proverbio, sta in mezzo e si trova solo se il federalismo si esercita non solo come concessione dall'alto, ma come sensata pratica di semplificazione e di buon governo che parte dal basso. Puntando ad una diminuzione del numero di amministrazioni, per una razionalizzazione delle risorse, una efficientizzazione della spesa e dei servizi e una riduzione, o quantomeno il contenimento, della pressione fiscale locale.
Bene: in provincia di Treviso l'80% dell'Irpef viene dalle buste paga dei lavoratori dipendenti e dalla tassazione delle pensioni. Questo significa che l'80% della ricchezza prodotta e teoricamente a disposizione de Comuni se passasse la proposta dei sindaci viene dai lavoratori dipendenti e pensionati. Ne deriva una conseguenza lampante: è soprattutto la qualità della retribuzione, e non altro, a determinare il "quanto" questo territorio può complessivamente avere a disposizione. Il che significa anche mettere al centro della discussione sulla finanza locale, che non è solo entrate ma anche struttura e destinazione delle uscite, la questione salariale. Perché un lavoro dipendente povero produce scarsità di risorse, e maggiore complessità della domanda di strumenti di welfare. Cioè un cortocircuito sociale ed economico.
Allora forse sarebbe più chiaro a tutti, ad esempio, il motivo per cui servono più asili nido, e più asili accessibili ad una platea vasta di utenti-cittadini, invece di operazioni come quelle degli industriali, che con i soldi dei contributi regionali costruiscono asili che alla fine, e purtroppo, finiranno per servire solo i figli delle persone più ricche.