Ricerca dell'Ufficio Studi della Cgil provinciale: a fine ottobre record negativo di licenziamenti.
10 mesi neri per il lavoro e la disoccupazione vola oltre il 7%. Al 31 ottobre sono 6.092 i trevigiani che hanno perso l'occupazione. Se il trend verrà confermato a fine anno la disoccupazione toccherà il livello più alto da otto anni.
Barbiero: "Crisi senza fine, stiamo toccando il fondo".
Dallo studio indicazioni anche sull'andamento dei licenziamenti nelle grandi imprese negli ultimi otto anni.
"Numeri che confermano come un provvedimento sui licenziamenti facili sia inutile e dettato da ragioni ideologiche". Sono 6.092 i lavoratori trevigiani licenziati nei primi 10 mesi del 2011. Il dato viene fornito dalla periodica rilevazione dell'Ufficio Studi della Cgil di Treviso ed è aggiornato al 31 ottobre scorso. Dal dettaglio emerge che le fuoriuscite hanno interessato 3.582 addetti delle piccole imprese e 2.510 delle aziende medio-grandi. In entrambi i casi (ricordando che i licenziati dalle piccole imprese godono di ridottissime prestazioni di welfare) più della metà dei licenziamenti (rispettivamente il 65,94% nelle grandi e medie imprese e il 66,02% nelle piccole) ha riguardato i profili operai.
Cresce inoltre la percentuale di licenziamenti di lavoratori migranti: il 31,91% nelle piccole imprese, il 19,64% nelle medio-grandi. Nel dettaglio dei settori, nelle grandi e medie imprese il 42,15% dei licenziamenti ha interessato il settore della meccanica, seguito dal 22,51% del legno e il 17,29% del tessile-abbigliamento-calzature. Nelle piccole aziende il 24,01% dei licenziamenti si è registrato nell'edilizia, seguito dal 17,84 nella meccanica e il 17,67% del commercio.
Secondo l'analisi dell'Ufficio studi della Cgil provinciale, il trend peggiora il dato negativo del biennio 2009-2010 e se confermato, nei prossimi due mesi, porterà il tasso di disoccupazione provinciale ben al di sopra del 7%. Inoltre, sempre nei primi 10 mesi del 2011 si contano ben 102 procedure di cassa integrazione straordinaria; tra cassa a zero ore e cassa in rotazione, il totale degli addetti interessati, secondo l'Ufficio Studi della Cgil provinciale di Treviso, è pari a 2.183. A questi indicatori, tutti molto negativi va poi aggiunto il dato relativo ai fallimenti registrati in provincia. Nei primi 10 mesi del 2011 sono 225, in leggera flessione rispetto ai 238 dello stesso periodo dello scorso anno. Flessione non sufficiente, secondo il report dell'Ufficio Studi, a indicare un raffreddamento delle crisi aziendali. I dati elaborati anzi indicano una proiezione che porterebbe, al 31 dicembre, a superare i 301 fallimenti del 2010.
Inoltre lo studio, prendendo in esame i dati dal 2004 ad oggi, rileva come, in otto anni circa, i lavoratori coperti dalle tutele dello Statuto dei lavoratori (imprese sopra i 15 dipendenti) che hanno perso l'occupazione per "ragioni economiche", ovvero ristrutturazioni, riorganizzazioni, procedure concorsuali o delocalizzazioni, siano stati in totale 14 mila 775, per effetto di 1.090 procedure. I primi dieci mesi del 2011 segnano peraltro la punta massima dei licenziamenti nelle grandi e medie imprese (2.510), contro i 1.456 del 2008 ( fase di inizio della crisi in atto) e i 1.703 del 2004, anno in cui si scontarono duramente gli effetti di numerose delocalizzazioni produttive. Nel dettaglio, i licenziamenti più significativi hanno riguardato praticamente tutte le maggiori realtà produttive della provincia: 296 all'Elettroctrolux, 272 all'Irca, 387 alla De Longhi, 84 alla Rossignol, 72 alla Tecnica, 201 alla Benetton, 248 alla Monti, 134 alla Policarpo, 42 alla Faram, 20 alla Burgo.
Il maggior numero di licenziamenti (5.117) è stato registrato nel metalmeccanico, seguito dal tessile abbigliamento calzaturiero con 4.260 e dal legno-arredo-laterizi con 2.856.
"Ci sono due letture da fare - ha detto commentando la ricerca Paolino Barbiero, segretario generale della Cgil provinciale di Treviso - una riguarda la situazione attuale e una invece guarda ai trend di questi ultimi otto anni e illustra l'infondatezza logica e concettuale del provvedimento per arrivare a licenziamenti più facili.
Per quanto riguarda il 2011, i numeri confermano la gravità della crisi; da due anni sosteniamo che non c'è traccia di un miglioramento o quantomeno di un rallentamento della negatività che riguarda il mercato del lavoro.
Ora, con la disoccupazione provinciale che marcia verso un livello oltre il 7%, possiamo dire che anche nel 2012 il fondo del barile rischia di essere ulterioremente abbassato se non si creano presupposti economici, industriali e sociali per rilanciare e favorire la buona occupazione per i giovani e quella dei lavoratori "incastrati" nelle centinaia di crisi aziendali".
"Per quanto riguarda l'andamento degli ultimi otto anni - ha proseguito il segretario generale della Cgil provinciale - i numeri spiegano che in Italia si può licenziare, per ragioni economiche, anche con l'ombrello dell'art 18 dello Statuto dei Lavoratori. E che non servono nuove norme per rendere più facili i licenziamenti stessi. La differenza, fra la macelleria che vuole il ministro Sacconi e quello che succede al momento, è che le procedure di riduzione del personale sono l'approdo di un confronto con il sindacato che rende queste situazioni il più indolore possibile, e quindi socialmente sostenibili. Sacconi invece vuole offrire all'impresa, senza che questa lo abbia neppure richiesto, la possibilità di gestire le relazioni industriali con il lanciafiamme. E tutto questo non tanto sulla base di un ragionamento economico, ma semplicemente alla ricerca di provvedimento che consenta al ministro di mantenere alta la temperatura del suo ossessivo scontro ideologico e preconcetto nei confronti della Cgil e con la strategia di cercare di dividere il più possibile il fronte sindacale. Da un ministro del lavoro, francamente, ci si aspetterebbe, moralmente e politicamente, un atteggiamento più responsabile".
"Invece che pensare a come rendere più facili licenziamenti che oggi sono più possibili - ha concluso Barbiero - il ministro Sacconi farebbe meglio a concentrarsi su una riforma seria e positiva del welfare per quella platea di oltre 100 mila lavoratori, che operano nelle piccole imprese, per i quali il licenziamento facile già esiste e peraltro in assenza di veri strumenti di welfare, sia passivi che attivi. Senza dimenticare i posti di lavoro bruciati che interessano i lavoratori a chiamata, le varie tipologie contrattuali atipiche e le partite iva monomandatarie, ovvero quelle situazioni che oggi rappresentano l'80% delle modalità di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani, o di re-ingresso per i lavoratori licenziati, che oltre ad essere precari avranno una pensione povera".
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