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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 13/11/2008

Gentile direttore,
c'è in giro la brutta sensazione che la crisi in atto, che non è solo finanziaria ma è anche dell'economia reale, si stia dimostrando una grande occasione. Una occasione, purtroppo, non per ripensare alle regole del mercato che, partendo dalle ragioni vere e sostanziali di questa pessima contingenza, rimettano al centro il tema del governo dell'economia, della redistribuzione della ricchezza, dei modelli di welfare state e dello stesso fine ultimo del libero mercato.

Piuttosto pare essere una grande occasione che il Presidente del Consiglio sfrutterà per blindare, intorno a sé, una situazione di stabile gestione del potere nella società.

A ben guardare l'intero pacchetto di aiuti di stato che questo governo è intenzionato a mettere in campo per sostenere l'economia è infatti diretto a quel pezzo del mondo dell'impresa che corrisponde anche con i poteri forti: le banche, la grande industria. Mentre negli altri paesi si varano piano di aiuto all'economia reale e alla famiglie, in Italia si parla con enfasi di settore auto e elettrodomestico, torna a fare capolino la rottamazione, si preparano garanzie del credito alla grande e media impresa, dimenticando che il tessuto economico di questo paese, per non parlare del veneto e della provincia di Treviso, è fatto di tutt'altro.

Per anni è stato incensato il modello del piccolo e piccolissimo capitalismo, di cui si sono messe in evidenza le virtù e mai i difetti, che sono l'essere piccolo, sottostrutturato e sottocapitalizzato non solo per necessità, ma quasi per vocazione. Lo si è sostenuto, ma con provvedimenti che avevano, soprattutto, il sapore dell'azione politica: la flessibilità giocata in funzione di attacco alla cultura sindacale del rispetto dei diritti, la Legge 30 come leva competitiva per chi non ha né la cultura né la voglia di crescere, ma preferisce agire solo sul fronte del contenimento dei costi.

E, oggi, attraverso la riforma del modello contrattuale, con una enfasi sulla contrattazione locale che però non fa i conti con la realtà: e cioè che alla prova dei fatti sono le imprese, in particolare in provincia di Treviso, a non fare la contrattazione di secondo livello, preferendo gestire i rapporti per via padronale, giocandosi i margini per premi e incentivi non utilizzando i contratti, ma erogazioni individuali a vario titolo, spesso anche per pagare meno tasse.

Abbiamo anche visto manifestazioni di piazza, chiaramente organizzate da padrinati politici, in cui il modello d'impresa piccola o piccolissima scendeva in campo per reclamare la giusta attenzione, ma sempre e comunque contro i governi di centrosinistra.

Oggi, quando cioè ci sarebbe da incassare il sostegno dato all'attuale maggioranza, il piatto è tristemente vuoto. Non ci sono soldi, ad esempio, per garantire il credito non solo della grande e media impresa; e a dirlo non siamo noi dela Cgil, ma lo stesso governo che, dopo le banche, pensa appunto solo a quella grande o media industria che in Italia tutto sommato è abbastanza residuale.

La logica degli equilibri politici ci dice che Berlusconi governa il Nord, e in particolare il lombardo-veneto, tramite la Lega. La quale risenserra le fila non più sulla rivendicazione della specificità economica e sociale padana, ma agitando gli spettri e le paure che possono essere alimentate meglio proprio grazie alla sensazione di timore del futuro che la crisi instilla nelle nostre teste.

Il resto, per dare solidità ad un esercizio del potere, Berlusconi lo fa rafforzandosi nelle lobby delle stanze che contano. Si diceva che i grandi gruppi di interesse non gli erano mai stati del tutto amici: oggi gli sono debitori, il che per il Primo Ministro è anche meglio.

E' possibile che questa lettura sia sbagliata: ci spieghi il governo, allora, perché dagli aiuti di Stato resta fuori, almeno al momento, tutto il grande universo della piccola impresa. Ci spieghi perché restano fuori i consumatori, che poi altro non sono che i lavoratori e i pensionati. Spieghi perché, dopo gli squilli di tromba della campagna elettorale, oggi ai ceti medi e a quelli meno abbienti, che comunque contribuiscano in gran parte alla creazione della ricchezza e per l'80% alle entrate dell'Irpef, non vengano abbassate le tasse sul lavoro e sulle pensioni.

Ma è anche possibile che la nostra lettura sia corretta: e allora mi chiedo dove siano finiti tutti i portatori d'acqua, i convinti che questa politica era ed è quello che serve al modello d'impresa del Nord Est, del Veneto e della Marca. Dove sono quelli che qualche anno fa, alla televisione, agitavano le chiavi delle loro imprese per portarle al governo di centro sinistra? Cosa dicono del piatto vuoto messo davanti alla piccola imprenditoria, fatta sedere ai margini del tavolo in cui si serve l'abbuffata di aiuti pubblici al mercato "che si regola da sé", ma chiamata a pagare, insieme ai lavoratori e alle famiglie, il conto salato della crisi?

Paolino Barbiero, Segretario generale Cgil provinciale Treviso