Nella mattinata di sabato 7 marzo 2009, all'Hotel Continental, la Cgil di Treviso riporterà all'attenzione dell'opinione pubblica trevigiana sulla campagna nazionale "Io ci sto: Stesso sangue, stessi diritti", in favore di una società capace di vivere la multiculturalità e la multietnicità.
Lo facciamo per dire che, nella sua grande maggioranza, la provincia di Treviso non è terra di razzismo, malgrado l'immagine che diamo all'esterno, sia a livello nazionale che internazionale, lasci invece troppo spesso intendere che qui non solo cova ma arde il fuoco della xenofobia.
E' per questo che abbiamo voluto la partecipazione dei rappresentanti istituzionali, soprattutto dei sindaci. Da cui per ora, purtroppo, è arrivato anche silenzio. Un silenzio che personalmente considero un segnale non positivo, un silenzio tanto imbarazzato quanto è delicata la questione stranieri considerata dal punto di vista elettorale.
Non ci si libera dal rischio di una diffusione del preconcetto xenofobo, anticamera del razzismo, se non si rimette al centro il concetto di persona, indipendentemente dalla sua nazionalità, dal colore della pelle, dall'origine etnica e credo religioso.Assistiamo, in maniera sotterranea ma non per questo meno pericoloso, allo sviluppo di fenomeni di discriminazione sostanziale: le classi separate per i bambini delle elementari, le prestazioni sociali che alcuni Comuni vorrebbero erogate solo agli italiani, la disoccupazione di lungo periodo che diventa, per lo straniero, rischio di espulsione e quindi sradicamento suo e della famiglia dalla società in cui si sono inseriti e che oramai sentono essere la "loro comunità".
Dimenticando quanto queste persone abbiano dato e stia dando alla società italiana, a quella veneta e a quella trevigiana: il loro contributo per l'assistenza dei nostri anziani, il loro lavoro nelle nostre aziende, le tasse che pagano, i contributi al servizio sanitario nazionale, i contributi previdenziali che, in questa fase, pagano le pensioni degli italiani.
Non cose, ma persone. Non solo fattori della produzione che vorremmo trasparenti finito l'orario di lavoro, non solo un problema di ordine pubblico da risolvere con una ipocrita apartheid.
Paolino Barbiero