Gentile direttore,
credo che l'intervento firmato da Maurizio Sacconi e questa "trovata" del vitalismo che, nei fatti,
altro non dovrebbe essere che il fondamento di un nuovo patto per una edizione rivista e corretta del Polo delle Libertà, meriti alcune considerazioni a riscontro.
Anzi un vero dibattito, che non si fermi alle sue tesi e a alla risposta che io mi permetto di dare come uomo del sindacato e cittadino veneto.
Maurizio Sacconi è il ministro del welfare ( e quindi anche del lavoro) che in piena costanza di crisi negava l'esistenza della recessione e la riconduceva ad un processo psicologico. Completando così l'opera affatto meritoria di portare il sistema paese al declino. La crisi infatti non è piovuta su una economia florida ma su un Paese che dal 2002 accumulava, di anno in anno, le cause di una "sua" crisi sistemica che la recessione globale ha solo reso più evidente, aggravando i fondamentali e quindi lo stato stesso dell'economia e della tenuta sociale.
Una crisi scritta nei processi di delocalizzazione alla ricerca non di nuovi mercati ma di lavoro a buon mercato per produzione incapaci di innovare, posizionate sul basso valore aggiunto; una crisi scritta nel declino della massa monetaria a disposizione del mercato interno e di consumi che, al netto dei meccanismi di finanziamento del credito per il consumo, hanno segnato per sei anni numeri negativi e per questo la crisi del debito non era imprevedibile; un declino reso evidente da quel Patto per l'Italia e il tentativo di cinesizzare il lavoro italiano, travestendo da flessibilità moderna la destrutturazione del rapporto di lavoro e cercando di spaccare gli equilibri delle relazioni industriali.
Credo che non ci possa spogliare delle proprie responsabilità politiche come se la memoria degli italiani avesse il passo breve. C'è invece chi si ricorda benissimo. E per questo le parole di Sacconi, rispettabili e degne, sono secondo me strumentali.
Chiudo su un punto che ritengo importantissimo: se ridurre la questione dei diritti sociali allo zapaterismo (le unioni di fatto e per i gay, la difesa della legge 194 o il divorzio breve ) è il refreain di un nuovo blocco conservatore e ipocritamente neo-confessionale, che ideologizza i valori dell'esperienza personale e come nel caso Englaro vuole fare legge delle proprie convinzioni trasformando il peccato (concetto relativo) in reato (concetto giuridico e oggettivo), allora ben venga lo zapaterismo, perché quelle sono battaglie di civiltà giuridica. Blandire poi il centro casiniano con riferimenti neo-conservatori per suggestionarne quella parte, vivaddio residuale, di elettorato che ancora professa il clericalismo e il confessionalismo militante, non fa altro che descrivere le difficoltà della politica berlusconiana a ricostruire alleanza e relazioni.
Paolino Barbiero - segretario generale Cgil Provinciale Treviso