Pare che ciclicamente il "Popolo Veneto" si desti. Ma sembra quasi che il folklore che riveste questi movimenti, e che ancora abbiamo visto venerdì scorso in piazza dei Signori,
nel cuore del capoluogo della Marca trevigiana, insista maggiormente nel ribadire un'unitarietà e identità, fatta unicamente di tradizioni e riti,
piuttosto che di consapevolezze, bisogni e visioni comuni.
L'autonomia è una cosa seria, l'indipendenza per questionario, perché questo è stato fatto e non un referendum,
è una "baracconata" che ci riporta indietro di vent'anni, alla prima Liga Veneta, alla Padania, alle ampolle ripiene dell'acqua del Po e delle vane speranze dei veneti.
E ancora quel partito romano tenta di riappropriarsi della battaglia che ha così platealmente e indecorosamente perso, spazzando via la fiducia di militanti ed elettori.
Questo serve oggi al Veneto, e probabilmente al Nord Est, all'Italia e all'Europa: una grande stagione riformista di stampo federale. Non è più concepibile, infatti, seguire quell'idea sbagliata e forviante di federalismo ideologico e fine a se stesso perché, inoltre, non siamo più, noi veneti, al centro dell'Europa, non siamo forti, non siamo più modello, e del mondo che ci circonda abbiamo più bisogno che mai. E il rischio è rimanere al margine, magari indipendenti, forse senza euro, ma di non contare nulla o meno di nulla.
La misura è colma e gli interventi marginali, quasi sempre inutili, non solo non servono ma rischiano di generare ulteriore malumore tra alcune categorie e fasce della nostra società. La vera riforma federale va allora fatta al più presto, ed è stretto il filo che la lega alla questione fiscale, che deve essere affrontata secondo criteri di equità e di solidarietà per stringere un nuovo patto sociale e fiscale nel segno della coesione e della legalità.
Riforma federale, questione fiscale, bisogni comuni dei territori, questa è la reale base per ragionare in termini di autonomia. Autonomia quale maggiore assunzione di responsabilità del popolo e di chi governa.