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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 15/07/2011

L'allarme di Mario Draghi sul possibile aumento della tassazione se non ci saranno ulteriori tagli alla spesa, arriva in ritardo.
E' un monito all'opinione pubblica, più che altro, e forse tende a giustificare il bisogno di procedere ad altre riduzioni della spesa se non si vuole soddisfare l'obiettivo di arrivare alla riduzione dell'indebitamento attraverso un inasprimento dei prelievi.

Ma l'allarme di Draghi arriva in ritardo perché una analisi della manovra, anche ricomprendendo gli ultimi correttivi, mette in evidenza come i numeri a cui punta il governo, cioè reperire almeno 70 miliardi di euro (l'alternativa sarebbe una correzione del Pil di circa 2 punti e mezzo, impossibile a crescita stagnante) si raggiungono per due terzi con nuove entrate e solo per un terzo con minori spese. E le minori spese, nell'articolato della manovra, tagliuzzano un po' qui e un po' lì sulla spesa sociale, che complessivamente incide poco sulla situazione debitoria complessiva dato che è circa un terzo della spesa complessiva, ma incidono parecchio sulle situazioni che vanno a toccare: si pensi alla riduzione delle prestazioni ai portatori di handicap o lo stesso taglio delle pensioni o la nuova ri-articolazione dei criteri per andarci in pensione.

Le nuove entrate non si strutturano poi nella rimodulazione delle aliquote, non mettono davvero fine all'ingiustizia di una tassazione diversa e discriminatoria tra rendita finanziaria e lavoro, ovviamente discriminando il secondo, che sull'aliquota più bassa è tassato due volte la rendita. Si tratta invece di un articolato che porta nuove entrate giocando sul fronte della riduzione dei benefici fiscali, attraverso tagli alle deducibilità delle spese mediche e dei mutui, asili nido e ticket; e introducendo imposte regressive, come quella in cifra fissa sul deposito titoli e quelle sui giochi. La prima è peraltro una tassa curiosa: chi sostiene l'urgenza di portare almeno al 20% l'imposta sul capital gain, cioè sui profitti da investimento finanziario, era stato accusato di voler tassare i risparmi delle famiglie. Bene: adesso questa tassa è davvero arrivata, a firma di Tremonti, dato che la nuova imposta azzera di fatto il rendimento su un portafoglio di titoli di stato fino a 30 mila euro.

Le vere falle di questa manovra, quelle peraltro riguardano di più un tessuto sociale come quello trevigiano, riguardano il peso della stabilità economica nazionale, che grava soprattutto sugli enti locali praticamente impossibilitati a operare in particolare per investimenti. La Lega di casa nostra cosa fa? Chiede che ci sia un allentamento del vincolo del patto di stabilità sapendo benissimo che questo non può essere concesso dal Governo e ben sapendo che alle condizioni attuali, il federalismo non è possibile senza un grave e fortissimo inasprimento fiscale. Non a caso è il leghista Muraro a intervenire sull'addizionale Rc auto, per un importo complessivo di nuovo gettito che si conta con i sei zeri. E le nuove diciture sul patto di stabilità sono forma e non sostanza, come conferma il criterio che apre a maggiori margini di azione solo i comuni che operano dismissioni di asset strategici, come la partecipazione a società, portando verso una sempre più vasta privatizzazione dei servizi.

C'è poi la totale assenza di misure per lo sviluppo. Per correggere il rapporto deficit-Pil si potrebbe lavorare sulla crescita, ma qui non ci sono misure. Per dare concretezza al concetto di "misure per la crescita" basterebbe pensare al numero di aziende che ogni anno nascono in provincia di Treviso e a quante in effetti riescono a crescere. Il rapporto è negativo, anche senza contare le chiusure, a significare che le misure di de-contrattualizzazione del lavoro perseguito ad esempio dal trevigiano ministro del Welfare, solleticano la pancia della fronda imprenditoriale che punta tutto sul basso costo del lavoro, ma non produce effetti sostanziali. Che poi a Treviso, ad esempio, si sacrifichino investimenti su quello che c'è, ad esempio per la formazione, dirottando i fondi camerali sulla delocalizzazione spiega tutta l'aria che tira.

Queste sono le condizioni che portano la Cgil a manifestare oggi in tutte le piazze: nel mirino ci sono soprattutto le azioni sulle pensioni e i tagli alla spesa sociale, ma è l'intera politica economica e finanziaria di questo governo a non reggere e a meritare una dura critica. Soprattutto non regge più la bugia delle tasse che non vengono innalzate. La pressione marcia verso l'alto, eccome; e come avevamo anticipato da tempo grava di più, anche se in maniera quasi occulta, sui redditi più bassi peggiorando le condizioni di vita materiali di tante famiglie. Ormai la verità è che non siamo solo un Paese verso il fallimento, ma soprattutto un Paese sempre più ingiusto.

Paolino Barbiero, Segreterio generale Cgil provinciale Treviso