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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 06/10/2008

Gentile direttore,
La bozza Calderoli è aria fritta
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Non solo perché sulle questioni di merito, ovvero sui numeri, alza una cortina fumogena che rende tutto talmente vago da trasformare il favore o l'opposizione al progetto come una mera scelta di campo.
Ma soprattutto perché nei fatti non risolve due nodi: il primo è quello temporale, dato che difficilmente potrà avere effetti nel corso di questa legislatura. Il secondo invece riguarda il patto elettorale stretto dalla Pdl con gli elettori, da nord a sud. E la necessità di mantenere equilibri rende evidente che qualsiasi aspettativa di grande riforma che trovi la quadratura per affrontare e risolvere la questione settentrionale verrà inesorabilmente delusa.

Cioè cambierà davvero poco.
I fatti dicono poi che, in attesa del bluff su cui la Lega vuole apporre il proprio sigillo, sui Comuni si abbatterà intanto la scure della desertificazione delle risorse.
Le ricerche della Cgil, condotte a livello regionale, dicono che gli effetti si inizieranno a vedere tra il 2009 e il 2010, con un antipasto a dicembre, quando verrà a mancare il saldo dell'Ici. Ci potranno anche essere scelte "coraggiose", come quelle della sindaco Rubinato; ma ribellarsi e attingere alle risorse bloccate dal patto di stabilità è una misura contingente, non strutturale. Serve, politicamente, ad esaltare le criticità, e questo è un bene: ma finiti quei soldi e completata qualche opera più o meno necessaria, il problema resterà.

Anche per queste ragioni la Cgil di Treviso sostiene la battaglia dei cosiddetti sindaci del 20%. E' un sostegno responsabile e meditato, che non nasce oggi ma che è stato pubblicamente dichiarato fin dall'avvio dell'iniziativa e che si fonda sulla convinzione che è giusto che le risorse prodotte localmente siano la prima fonte di finanziamento delle politiche territoriali. Ovviamente con un patto di solidarietà scritto a caratteri indelebili e fortemente condivisi.
E con un occhio ad alcuni situazioni, in particolare agli effetti diversi generati da un meccanismo che, introducendo la trattenuta del 20% dell'Irpef nelle casse delle amministrazioni comunali, produce, rispetto al vecchio metodo dei trasferimenti, situazioni diametralmente opposte: da un lato alcuni Comuni – pochi – che ci rimettono, dall'altro Comuni che invece ci guadagnano, e di molto. L'equilibrio, come nel proverbio, sta in mezzo e si trova solo se il federalismo si esercita non solo come concessione dall'alto, ma come sensata pratica di semplificazione e di buon governo che parte dal basso. Puntando ad una diminuzione del numero di amministrazioni, per una razionalizzazione delle risorse, una efficientizzazione della spesa e dei servizi e una riduzione, o quantomeno il contenimento, della pressione fiscale locale.

In provincia di Treviso 12 sindaci amministrano, complessivamente, una popolazione di 450 mila cittadini. L'altra metà, numero più numero meno, è governata da 83 primi cittadini. Ha un senso? O sarebbe preferibile radicare una massiccia semplificazione, un accorpamento che cancelli quella assurda media matematica regionale per cui ogni Comune eroga servizi a circa 10 mila persone?
Ultima considerazione. Si parla molto, in questo periodo, del ruolo delle amministrazioni comunali, di quello che dovrebbero fare e di quello che, invece, dovrebbero lasciare al mercato, più o meno camuffato da sussidiarietà. Lo si fa spesso in maniera astratta, senza considerare né la composizione sociale della cittadinanza, né la provenienza delle risorse.

Bene: in provincia di Treviso l'80% dell'Irpef viene dalle buste paga dei lavoratori dipendenti e dalla tassazione delle pensioni. Questo significa che l'80% della ricchezza prodotta e teoricamente a disposizione de Comuni – se passasse la proposta dei sindaci – viene dai lavoratori dipendenti e pensionati. Ne deriva una conseguenza lampante: è soprattutto la qualità della retribuzione, e non altro, a determinare il "quanto" questo territorio può complessivamente avere a disposizione. Il che significa anche mettere al centro della discussione sulla finanza locale, che non è solo entrate ma anche struttura e destinazione delle uscite, la questione salariale. Perché un lavoro dipendente povero produce scarsità di risorse, e maggiore complessità della domanda di strumenti di welfare. Cioè un cortocircuito sociale ed economico.

Allora forse sarebbe più chiaro a tutti, ad esempio, il motivo per cui servono più asili nido, e più asili accessibili ad una platea vasta di utenti-cittadini, invece di operazioni come quelle degli industriali, che con i soldi dei contributi regionali costruiscono asili che alla fine, e purtroppo, finiranno per servire solo i figli delle persone più ricche.
Infine un telegramma alla Lega: ci potete spiegare perché, in attesa dell'arrivo di questo messia federalista (la bozza Calderoli) non può essere possibile dare fiato, da subito, alle casse dei Comuni, tanto più che, come sanno anche gli amministratori del Carroccio (compresi i vice sindaci che vogliono farsi finanziare l'enciclopedia personale) il momento è delicatissimo, soprattutto dal punto di vista dei servizi sociali?
Paolino Barbiero