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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 14/07/2014

Oggetto: Renzi e la Rivoluzione Copernicana nella Pubblica Amministrazione.
Gentile Direttore,
Copernico fu molto attento nel rappresentare le proprie teorie a non assumere atteggiamenti rivoluzionari. Questo narra la storia.
Anche perché era più interessato a far maturare tra gli studiosi il consenso alle sue teorie piuttosto che a farsi "bruciare nel rogo dell'inquisizione".

Tornando a tempi "moderni" è giusto ricordare il lavoro che autorevoli giuristi e politici del nostro Paese, da Sabino Cassese, a Massimo Saverio Giannini, a Massimo D'Antona fino a Franco Bassanini, intentarono nei processi di riforma della Pubblica Amministrazione. Se qualcuno avesse solo la voglia di riprendere quanto emergeva dalle innumerevoli relazioni e proposte che fin da allora si avanzarono, che necessariamente si integravano con interventi di riforma del sistema istituzionale ma anche e soprattutto con processi di cambiamento cheinvestivano la tendenza delle Pubbliche Amministrazioni ad una auroferenzialità di natura conservativa, che male si sposa con una funzione di erogazione di attività e servizi al cittadino, si accorgerà dell'attualità di quei lavori.

Almeno tre sono gli elementi significativi che emergono da quegli studi e che meriterebbero una maggior attenzione da coloro i quali si trovano ad affrontare medesimi temi:

1. Spesso non serve inventarsi nuove leggi, emanare continuamente decreti legge o enfatizzare prospettive future come se si formulassero per la prima volta; a volte basterebbe prendere quello che già c'è, è stato scritto ma non è mai stato applicato. A parere di chi scrive questo rappresenta uno dei veri limiti di chi ha governato e di chi governa la Pubblica Amministrazione: non attuare mai un rendiconto tra obiettivi enunciati da leggi di riforma e verifica dei risultati conseguiti. Anzi, di inverso, il continuo proliferare di nuove norme, spesso emendate ad uso e consumo proprio da coloro che vedono nei processi di cambiamento la messa in discussione del proprio ruolo di potere, ha reso vano ogni tentativo di riforma. E' del tutto evidente che anche nella percezione dei cittadini la sfiducia in seno alla politica ed alle istituzioni cresce e conferma l'assunto che "la finanza governa, i tecnici amministrano ed i politici vanno in televisione".

2. Va ricordato che i risultati maggiormente significativi si raggiunsero a cavallo tra gli anni novanta e duemila, aspetto che forse il Presidente del Consiglio dovrebbe provare a tenere in maggiore considerazione, quandosi decise di contrattualizzare il rapporto di lavoro pubblico, operando una omogeneizzazione con il privato, e prevedendo una Legge sulla Rappresentanza che operava una riduzione della frammentazione sindacale spesso figlia dei singoli corporativismi. E' in quella fase storica, con quelle scelte, che si è operato anche un diverso livello di responsabilizzazione dei soggetti negoziali, sfidante anche sulla prevalenza dell'interesse generale a quello particolare. Da questo punto di vista, a parere dello scrivente, uno dei limiti veri delle riforme annunciate è proprio quello di non modificare quanto il Ministro Brunetta ha operato sul terreno della rilegificazione dei rapporti di lavoro. E che inevitabilmente opera dei meccanismi di prevalenza delle ragioni di lobby e gruppi di potere rispetto a qualsivoglia modifica.

3. Le rivoluzioni nel nostro Paese non ci sono mai state. E da un punto di vista storiografico, laddove sono avvenute, sono il frutto di un azione di gruppi (anche dirigenti) più o meno illuminati, che hanno saputo integrare tra loro idee di trasformazione sociale, di profondo cambiamento di status fondati sulle disuguaglianze e sull'accentramento di potere, unendo e coinvolgendo, attraverso maturazioni a volte repentine a volte graduali, classi sociali molto differenti tra loro. La storia del nostro Paese, di inverso, è costellata da ampi processi di restaurazione anche attraverso meccanismi di dubbia legalità, quando non eversivi e violenti, che hanno sostanzialmente prodotto un immobilismo rispetto a ogni processo di cambiamento che alla fine ha comportato maggiori costi – e inefficienze - rispetto ai costi che necessariamente le riforme portano con sé.

L'impressione è che il Presidente del Consiglio stia imboccando una strada, fatta di annunci spesso roboanti, sulla quale troverà un consenso di facciata proprio da coloro che per primi si opporranno a ogni cambiamento. I primi provvedimenti adottati con l'ennesimo decreto legge, se ci fosse l'onestà di leggerli per quello che sono e non di interpretarli rincorrendo la corrente del momento, non fanno altro che dare continuità a quanto già fatto dai governi precedenti, identificando nel Sindacato Confederale e nei soggetti di rappresentanza il male estremo da eliminare in quanto portatore di interessi corporativi ancorati con il passato che negano la possibilità del cambiamento. Se è questa la rivoluzione che ha in mente deve sapere che non c'è nulla di nuovo rispetto a quel passato che dice di voler combattere.
Diamo un unico suggerimento, che non è emerso da quell'atto partecipativo della "consultazione online" – rivoluzione@governo.it - alla quale hanno risposto 39.000 cittadini italiani (pari allo 0,065% della popolazione): affronti compiutamente i temi legati alla illegalità, alla corruzione, alla concussione nella Pubblica Amministrazione.
Questo si sarebbe, per il nostro Paese, un atto rivoluzionario
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